Dalla carta a Lucca, all’oro ad Arezzo fino al marmo a Carrara. Il case history dell’imprenditore Salvadorini
di Duccio Cresci
Noi, a differenza di tantissimi altri, abbiamo avuto la fortuna di nascere, di crescere o vivere in un paese che è anche un Brand: Made in Italy. Firenze è un brand nel brand. Pensateci bene, Firenze è conosciuta in tutte le parti del mondo per la sua bellezza, i suoi musei, la sua storia, il suoi artigiani (che chiameremo “ Artigeni”), la sua genialità e, cosa per niente scontato,
rappresentiamo il distretto del bello. Gli unici che ancora non riescono totalmente a capirlo sono gli stessi fiorentini, che non lo sfruttano come si dovrebbe fare. Ecco perché essere un distretto e un brand sono fondamentali per sopravvivere in questo mondo dove tutto cambia alla velocità della luce.
La notizia meravigliosa è che siamo ancora in tempo per cambiare e per ritornare ad essere il centro del mondo. I cosiddetti distretti senza un marchio che gli rende unici, prima o poi, saranno attaccati dai tantissimi concorrenti e non riusciranno a difendersi ...perdendo (come a Risiko). Nella nostra meravigliosa Toscana siamo pieni di esempi: da Arezzo con l’oro a Prato col tessile, da Santa Croce con la pelle a Carrara col marmo, fino a Arrivare al fantastico distretto della carta. Quanti di voi sanno che in Toscana, esiste il distretto cartario più condensato al mondo? Probabilmente pochi, probabilmente solo coloro che vi operano. Eppure vi sarà capitato spesso di vedere, percorrendo l’Autostrada del Sole, la Firenze-Mare, di osservare all’altezza dell’uscita di Capannori, una serie di prefabbricati, spesso illuminati da insegne giganti, o di osservare, in un'afosa giornata estiva, in rientro da un weekend o da una giornata spensierata al mare, delle strane formichine giganti vestite o addobbate a seconda della stagione. Eh sì... in un raggio di circa 750 km fra le province di Lucca e Pistoia, si conta infatti circa l’80% della produzione nazionale di carta Tissue e circa il 40% di quella di carta per onda (ovvero scatole).
In terreni un tempo paludosi, o logisticamente difficili da raggiungere (le zone montane della Mediavalle Lucchese e Garfagnana), sfruttando al massimo l’elemento indispensabile per questo settore, l’acqua, un genio definibile quasi rinascimentale, sin dalla fine dell’800 sviluppa una delle industrie ancora oggi più floride del panorama manifatturiero italiano, che ha attirato in questa area sin dagli anni ’70 importanti investimenti da parte delle più importanti multinazionali internazionali di settore. Questa iniezione di internazionalità, di concetti organizzativi, di visioni strategiche, invece che affossare gli imprenditori locali, li ha indirizzati sin da subito a cercare di strutturarsi per competere. Dal Genio quindi dei fondatori, si è passati a generazioni in grado di esportare una tipicità toscana creando impresa vera e, motivo di orgoglio, in giro per l’Europa. Essendo la carta un prodotto relativamente a basso valore aggiunto, con un annesso quindi costo di trasporto troppo elevato, sin da subito è stato chiaro che per sopravvivere questa industria, nella sua produzione, doveva essere delocalizzata; quindi, era necessario creare mercato e produrre ove il mercato era stato creato.
Ho avuto la fortuna di conoscere e imparare da Luca Salvadorini, socio della BFG che ha seguito più o meno lo stesso sviluppo, tutto quello che mi serviva per capire che davanti a me avevo un giovane imprenditore che ha vinto grazie al connubio tra tradizione e innovazione. BFG nasce nel 1977, come fornitore di prodotti chimici e parti meccaniche nell’industria cartaria. Il Genio dei Fondatori, e la passione e abilità di chi poi si è via via inserito in questa storica struttura, ha fatto sì che questa piccola azienda sia riuscita nel tempo a consolidarsi e crescere. Rappresentando gli interessi di alcune fra le più autorevoli aziende di settore, nazionali e internazionali interessate ad essere presenti in questa area un tempo depressa, e ora florida, da agenti di commercio con la valigetta in mano e tanta speranza, BFG ha saputo evolversi in quello che oggi è. Sfruttando quindi una base solida creata con oculatezza e pragmatismo, passando per i primi tentativi (grazie Massimo Bertocchini) di approcciare il più vasto mercato italiano (quindi il mercato dei grandi produttori del Nord, delle Marche, del centro Sud), per poi arrivare alle nuove generazioni di sognatori che hanno sdoganato l’attività ben oltre i confini nazionali.
Negli anni ’80 gli scandinavi, acquisendo stabilimenti, inserivano nell’industria di produzione cartaria Tissue il concetto di tovagliolo colorato. Si provava a dare ad un manufatto relativamente povero, un valore aggiunto di arredo e marketing. La carta colorata veniva usata per differenziarsi, per arredare, per comunicare un messaggio. Gli scandinavi hanno da sempre un rapporto con i colori più profondo rispetto ai sud europei. Provate a vedere, cercando sul web, quanto brillanti, vivaci sono le vernici esterne delle case in Svezia o Norvegia, rispetto ai rispettivi delle case che ci circondano. Motivazione relativemente semplice. Il meteo poco clemente, spesso cupo, deve essere per forza contrastato da gocce di colore “evidente” in paesaggi mesti. La mancanza di luce solare induce alla depressione, al malumore. La luce, il colore contrastano fortemente questo fenomeno. Il colore usato per invogliare al buonumore. Che bello. Il colore è ciò con cui fin da piccoli ci fanno giocare, ci invogliano a mischiarli, a sperimentare. A livello industriale, viene utilizzato come strumento di visioni. Perciò il nostro Luca Salvadorini, masticando un po' di inglese e dotato di una spiccata curiosità, viaggiava visitando le sedi delle loro rappresentate e dei gruppi italiani produttori di carta tissue all’estero, capì e face capire l’importanza del colore.
Perché, anche se non ci facciamo caso, quotidianamente identifichiamo con un colore, direttamente un brand. Riflettendoci...chi non conosce l’arancione brillante giallastro di Louis Vuitton. O il verde quasi fluo delle confezioni di Bottega Veneta. O il rosso ciliegia con cui identifichiamo tutto il necessario per addobbare le tavole di natale, o il verde petrolio dei tovaglioli Ikea. Nasce così un nuovo modello di business: una struttura, che si rifacesse alla tradizione manufatturiera italiana, che si fonda sull’artigianato. Qui reso smart. Ovvero condito di conoscenze, ma soprattutto tecnologia e formazione. BFG doveva rendere la struttura in grado di assistere, in un clima di collaborazione piena, gli stabilimenti produttivi, colmando una serie di necessità per cui di solito ci si deve rivolgere almeno a 3-4 diverse strutture. Creando (fondamentale) una struttura “artigiana”, nel senso puro e nobile della parola, fatta a mano, implementata, ma smart, moderna, direi a visione degli anni futuri. Che sfrutti l’intelligenza artificiale, ma calibrata da mani esperte. Facile da guidare, quindi che necessitasse formazione e utilizzo degli strumenti forniti essenzialmente intuitivo. In cui la vendita dei coloranti (mera ma essenziale per la sopravvivenza) fosse solo una naturale conseguenza. Artigiani smart, ma essenzialmente coloratori a tutto tondo, e con una struttura mentale e pratica direi tedesca, fortissima e percepibile. Quindi sfruttare conoscenze diverse, di aziende rappresentate diverse, rendendole sinergiche armoniosamente. E soprattutto sfruttando cose pescate nelle varie esperienze di vita fatte, che non è volgare usare, se lo si fa provando a nobilitarle.
Formare i giovani tecnici del futuro negli istituiti tecnici di settore, e gli operatori oramai avviati, scambiando nozioni (esistono chiaramente ambienti che hanno conoscenze anche superiori alle nostre), sta facendo crescere un mondo, migliore... lasciando spazio ai designer di sbizzarrirsi perché questa industria consente di seguire tutte le loro idee, anche le più bislacche, in un mondo veramente sostenibile. Un percorso inverso rispetto alle visioni tipiche delle multinazioni, interessate solo a numeri e rapporti costi benefici. Ma che rende questa azienda e questo distretto speciale…replicabile nel “Bello”. Firenze, i fiorentini e tutta la Toscana aspettano solo questo.