Il 25 Aprile di Centro, una festa di unità nazionale

Il 25 Aprile  di Centro, una festa di unità nazionale
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di Francesco Samà

Il 25 Aprile  dovrebbe essere una festa di unità nazionale, ed invece in epoca di polarizzazione di posizione ogni anno diventa una festa sempre più divisiva. Da un parte infatti abbiamo una destra tra le cui file vi sono  esponenti che non nascondono antiche nostalgie, dall’altra un Pd sempre più schiacciato su posizioni da sinistra radical-populista, e  la Festa della Liberazione rischia di diventare l’ennesima occasione per inutili battaglie ideologiche. Ed invece forse pochi sanno che quella di domani è la festa di tutti i valori  della Costituzione.

Ogni parte politica strumentalizza la festa degli italiani attraverso personali revisionismi che strizzano l’occhio alla proprie posizioni ideologiche  e perdono di vista il vero significato della festa. Il 25 aprile non deve, non può essere l’ occasione,  sopratutto alla vigilia di elezioni, per fare campagna elettorale. 

Vediamo di fare chiarezza sul valore di questa data. Il revisionismo di destra afferma che tra il 1943 e il 1945 in Italia ci fu una guerra civile (e questo è vero) durante la quale furono commesse atrocità da entrambe le parti (e anche questo è vero). La conclusione è che dunque non ci sarebbe stata una parte giusta e una sbagliata: si sarebbe trattato di una carneficina fratricida, nella quale ci sarebbero stati torti e ragioni su entrambi i fronti. E questo è del tutto errato. Da sinistra  invece ci hanno sempre raccontato che i partigiani sono stati eroi senza macchia che hanno liberato l’Italia da soli e che appartenevano solo ad una parte politica avente l’effige della bandiera rossa.  Anche questa narrazione non corrisponde ad una realtà storica che non tiene minimamente conte del decisivo apporto degli alleati nella liberazione.

Lo scopo dei revisionisti di destra è chiaro: confondere le acque per dimenticare e far dimenticare una militanza imbarazzante. Altrettanto chiaro è lo scopo dei revisionisti di sinistra: piantare bandierine e monopolizzare per creare un fronte dei buoni contro il fronte dei cattivi per affermare sé stessi in un’Italia a cui non riescono più a parlare e che faticano a vedere e ad ascoltare.

Ma dove sta la verità?  Mi verrebbe di fare una battuta alquanto scontata: la verità sta al CENTRO. Battute a parte bisogna comunque fare un premessa quando si parla di 25 aprile: la Resistenza, la lotta partigiana, la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, sono un patrimonio storico da non dimenticare mai e che fonda il nostro stare insieme. È lapalissiano, ma di questi tempi vale la pena ribadirlo con forza. In secondo luogo, per liberarsi dalle strettoie dei contrapposti revisionismi, basterebbe ascoltare i testimoni dell’epoca. Nelle loro pagine potremmo riscoprire come la Resistenza sia fondamentale per ciascuno di noi e come possa essere un patrimonio vivo di tutti, in particolare dei giovani.

La Storia ci dice che ci furono partigiani eroi e partigiani meno eroi e colpevoli di crimini atroci, benché dalla parte giusta della storia. Basta pensare a quello che racconta Beppe Fenoglio nel suo romanzo il partigiano Johnny: il protagonista milita inizialmente nelle Brigate Garibaldi; poi, in dissenso, passa ai badogliani, pronunciando la celebre frase «I’m in the wrong sector of the right side» («Sono nel settore sbagliato della parte giusta»).

La Resistenza fu anche di sinistra, ma non solo di sinistra. Fu rossa, ma anche bianca. Fu comunista, ma anche cattolica. E furono resistenti anche quei seicentomila soldati del Regio Esercito Italiano che, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò, furono deportati, patendo tormenti e sevizie inenarrabili. Resistenti dimenticati, tra cui ci fu anche Giovannino Guareschi, padre di don Camillo e Peppone, fiero paladino della libertà e per questo anticomunista e ostile al fascismo. Guareschi, che nel dopoguerra i comunisti tentarono in ogni modo di censurare, non perdonandogli la sua fede politica monarchica.

Per questo sarebbe bello che un volta in piazza, durante i festeggiamenti del 25 aprile, si vedessero solo bandiere tricolore senza alcuna bandiera di partito,  una piazza dove  tutti cantano  l’Inno di Mameli e Bella ciao con la bandiera italiana in mano. Significherebbe, da parte di tutti, fare un passo indietro, per farne un’infinità avanti. Perché il Tricolore è di tutti, non solo di una parte, e aiuterebbe a rendere il 25 Aprile quella festa di tutti che dovrebbe essere. E’ la nostra costituzione che ci impone di non essere mai  divisivi. 

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